“Olocausto Campania”
una regione
VITTIMA DELLA STRAGE del … DIRITTO
operata da
“COMMISSARI – 007”
con licenza di uccidere … la legge
(testo di Serena Romano)
Un ambiente non avvelenato dai rifiuti e una sanità pubblica efficiente sono condizioni irrinunciabili per garantire il DIRITTO ALLA SALUTE. Ma ottenere questi servizi in Campania – pagati dai cittadini più che altrove in Italia – pare un sogno. Al punto che essi stessi sembrano ormai rassegnati ad essere vittime di un “olocausto decretato per legge”. Un olocausto, cioè, perpetrato ricorrendo a procedure di emergenza che hanno consentito a commissari nominati dal Governo, di agire in deroga alle leggi dello Stato utilizzando “procedure straordinarie” in maniera illegittima. La legge 225/1992 sullo stato di emergenza in caso di calamità naturali prevede, infatti, che con ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri (OPCM) un commissario straordinario possa agire in deroga alle disposizioni vigenti, ma sempre nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico. Utilizzare correttamente queste procedure significa, dunque:
– che l’“emergenza” deve essere limitata sul territorio e nel tempo (massimo 6 mesi);
– che ogni deroga richiede una motivazione esauriente perché non si può derogare genericamente all’ordinamento giuridico;
– che le competenze del commissario devono essere precisamente individuate per evitare che si creino sovrapposizioni tra la struttura commissariale “temporanea” e quelle locali, con l’inevitabile deresponsabilizzazione di queste ultime.
Ma queste indicazioni legislative sono state stravolte in Campania dove 16 anni di “regime di emergenza rifiuti” e l’abnorme quantità di Ordinanze del Presidente del Consiglio (alcune emesse addirittura con cadenza settimanale) hanno generato un tale numero di “deroghe” alla legge e di “deroghe alle deroghe”, da determinare in Italia un doppio quadro dell’ordinamento giuridico: un ordinamento giuridico generale fondato sul principio di legalità, e un “ordinamento giuridico parallelo” vigente solo in Campania che di “giuridico” non ha più nulla, perchè ha aperto la porta alla deregulation e all’arbitrio più totali.
Infatti, dall’ordinanza 2425 del 1996 – che affidava al commissario straordinario la stesura del piano rifiuti campani e delle opere necessarie – ai commissari è stato consentito di operare in deroga:
• alla normativa sulle espropriazioni
alla normativa sui vincoli idrogeologici, sismici e paesistici
alla normativa sulla localizzazione delle opere pubbliche;
– alla normativa tecnica riguardante rifiuti e discariche;
• alla normativa in materia di contrattualistica pubblica sia interna sia a livello comunitario;
• alla normativa sull’impatto ambientale e sulla partecipazione da parte dei cittadini, arrivando a militarizzare le discariche e prevedendo il carcere per i cittadini che protestano;
• fino a quell’ordinanza del gennaio 2008, che addirittura non specifica più neanche le leggi alle quali il commissario può derogare, ma prevede addirittura una deroga generica.
In altre parole, le scelte riguardanti discariche, siti di stoccaggio e inceneritori come quello di Acerra sono state prese da “commissari 007” che hanno operato per conto dello Stato con licenza di uccidere … la legge.
Risultato: le centinaia di milioni di euro spesi dall’elefantiaca struttura commissariale senza risolvere il problema, sono la prova del fallimento di questo procedere. Perché le scelte prese al di fuori di ogni regola e di ogni dettato tecnico e scientifico con modalità anticostituzionali, antidemocratiche, incuranti dei danni alla salute dei cittadini, hanno provocato disastri peggiori di quelli cui si voleva rimediare, rendendo la Campania vittima di un disastro sanitario e ambientale che non consente più di distinguere fra discariche dello Stato e discariche della camorra.
Un esempio fra tanti? La discarica di Sant’Arcangelo Trimonte nel Sannio. Costruita dalla società Daneco in violazione delle leggi sul dissesto idrogeologico, sta franando. E si sta portando dietro il suo immenso carico di rifiuti, mentre un fiume maleodorante di percolato fuoriuscito dalle fessure create dalla frana, sta inquinando i campi coltivati e la vita del paese condannato a viverci accanto. Il che dimostra che è impossibile avviare un serio ciclo dei rifiuti violando proprio le norme che lo regolano: come stanno cercando di far comprendere da anni i cittadini campani battendosi affinchè il rispetto delle normative italiane e comunitarie, il ripristino della legalità e la trasparenza delle procedure garantiscano un serio ciclo di rifiuti come nel resto d’Italia e d’Europa. Garantiscano, cioè, vere discariche e non gli “immondezzai” che, vietati in qualsiasi altra parte d’Italia, sono “leciti” solo in Campania con il pretesto dell’emergenza. Garantiscano impianti nei quali smaltire rifiuti selezionati e non le putride “ecoballe” bruciate nell’inceneritore di Acerra, in deroga alla legge con la scusa dell’emergenza. Garantiscano quella benedetta raccolta differenziata che, riducendo la quantità di rifiuti da mandare a discarica, consentirebbe di smetterla di fare nuovi “buchi” per la monnezza che infettano il territorio regionale. Garantiscano, insomma, quel diritto alla salute sancito dalla Costituzione che vale in tutta Italia tranne che in Campania.
Ma non c’è peggiore sordo di chi non vuole sentire.
La verità è che il problema in Campania finora non si è risolto, non perché manca la soluzione, ma perché non si vuole fermare l’enorme business messo in piedi dal commissariato di governo che da 16 anni, dal Nord al Sud d’Italia, senza nessun controllo grazie ai poteri “straordinari” concessi dallo Stato, distribuisce soldi pubblici a politici, imprenditori, camorristi e sindacalisti collusi. Tornando, infatti, all’esempio della discarica di Sant’Arcangelo Trimonti, chi ha preso la decisione di costruirla sapeva:
– che la discarica sarebbe franata come dimostrano documentazioni tecniche e fotografiche dei luoghi a supporto della relazione sul dissesto idrogeologico, firmata da due geologi, con la quale l’amministrazione comunale ha tentato di opporsi, e come è evidente anche ad occhio nudo guardando vecchie case del posto (vedi la foto qui di seguito);
– che la zona è definita “altamente sismica”, cioè con grado di sismicità “S = 12” (secondo la vecchia classificazione) o “zona 1” (per la nuova classificazione) entrambe indicative di “massima sismicità”;
– che la “ventosità” dell’area – oggetto di uno studio “anemologico” per impiantarvi pale eoliche – è destinata a fare da cassa di risonanza all’olezzo dei rifiuti;
– che la mancanza di strade adeguate avrebbe previsto la necessità di ulteriori sbancamenti e investimenti per una nuova viabilità.
– che la discarica è attraversata da un elettrodotto da 150 KV;
– che una discarica destinata ad ospitare quasi 900.000 metri cubi di mondezza a 800 metri dalle abitazioni con un impatto visivo folgorante, non solo viola i parametri indicati da CNR, OMS e Protezione Civile, ma un impianto così enorme rispetto al territorio nel quale è inserito, provoca una “pressione” sproporzionata e insostenibile anche dal punto di vista economico e sociale.
(una foto dell’evidente stato di dissesto dell’area di Sant’Arcangelo Trimonte destinata a discarica)
Con quali motivazioni tecniche, dunque, è stato “scelto” il sito di Sant’Arcangelo Trimonte? Mistero. I cittadini non hanno potuto neanche analizzare la Valutazione di Impatto Ambientale: quando hanno chiesto – in base alla legislazione italiana ed europea sulla “trasparenza” e sulla partecipazione dei cittadini alle scelte che li riguardano – di valutare la documentazione a supporto dell’impianto, questo diritto è stato loro negato…. salvo, poi, rimediare formalmente fornendo il fascicolo illustrativo 10 giorni dopo che l’ordinanza n. 153 del 1 aprile 2008 era stata firmata!
Ma ora che la discarica sta franando e si è alla quarta palificazione per arginare la frana e per impedire l’inquinamento dei campi coltivati dovuti alla fuoriuscita del percolato, nessuno può dire che “non sapeva” che si sarebbero dovuti spendere decine di milioni di euro per realizzare questi e altri interventi riparatori. Una cifra da capogiro che sarebbe bastata ad avviare la raccolta differenziata a Napoli, ma non è ancora bastata per riparare il danno… con grande gioia della ditta costruttrice che continua a incassare soldi per lavori senza fine, funzionali a un’emergenza senza fine. E come Sant’Arcangelo, ci sono decine di “immondezzai” e di impianti di trattamento rifiuti che, autorizzati in regime di emergenza, ora debbono essere bonificati perché inquinanti e contro legge.
Una cinica strategia nella quale – come rivelano le indagini della magistratura – le ecomafie hanno un ruolo importante, ma non quanto quello dello Stato che ha deciso, per legge, di sacrificare i territori della Campania e la salute dei suoi abitanti al business dei rifiuti: come rivela il piano per gli inceneritori campani affidato al presidente Caldoro … con poteri di commissario.
Da Tangentopoli a “CAMINOPOLI”
“Non so che cosa c’era in quei rifiuti: so solo che quando li sversavo in discarica, tutti i topi morivano”. Così ha confessato il pentito Gaetano Vassallo alla magistratura. E così ha raccontato Roberto Saviano elencando anche i milioni di tonnellate di sostanze tossiche e nocive inviate dal Nord: 1 miliardo e 300.000 metri cubi di fanghi, 250.000 tonnellate di fanghi velenosi a base di cianuro, 3 milioni di metri cubi di peci nocive contenenti diossina, 1 miliardo e 300.000 metri cubi di fanghi fra i quali 1 milione di tonnellate di fanghi industriali da porto Marghera o dall’Acna di Cengio, scorie e ceneri dalla provincia di Bergamo, vernici dalla provincia di Varese … una sporca storia che chiunque può rivedere via internet nella puntata del 22 novembre di “Vieni via con me”. Una storia che fa intuire il vero scenario della “finta emergenza rifiuti” , soprattutto dopo avere vista un’altra storia: quella dal titolo “Una montagna di balle” raccontata e documentata in maniera straordinaria da Ascanio Celestini su Current (canale 130 di Sky) anche questa rintracciabile via internet. Due storie che si completano l’una con l’altra, ma alle quali sembra mancare il finale che, invece, è nascosto nella montagna di carte del “piano rifiuti” in Campania dove l’ “olocausto” dei cittadini campani appare chiaramente determinato.
Per ridurre le quantità di rifiuti prodotti in Campania e per bloccare il traffico di quelli provenienti da fuori, infatti, i sistemi ci sono. Come quello, per esempio, di dotare tutte le case con giardino o con almeno un balcone o un terrazzino di compostiere domestiche, o come il sistema che consente di seguire via satellite il percorso di ogni mezzo che trasporta monnezza. Un sistema che non piace alle ecomafie, né ai politici che le supportano, e neanche agli imprenditori del Nord, perché smaltire a norma di legge “costa” 62 centesimi al chilo contro gli 8 centesimi offerti dalla camorra. Risultato: il sistema di rilevazione elettronica è pronto da tempo, ma non decolla. In compenso, si vuole avviare a tutti i costi “il piano di inceneritori campani”, ancora una volta affidandolo a un commissario per cui la difficoltà di controllo democratico delle scelte da parte dei cittadini rimane la stessa: inesistente. Ma tutto questo non è un caso: fa parte della strategia dell’olocausto Campania.
Come ha denunciato, infatti, Antonio Marfella, tossicologo oncologo dell’ospedale Pascale di Napoli – uno dei medici che con impegno e competenza stanno seguendo da anni questa problematica – fra inceneritori di rifiuti e di cosiddette “biomasse” (fra le quali, in deroga alla legge, hanno fatto rientrare anche le ecoballe), questo piano ha una potenza “di fuoco di incenerimento” di circa 4 milioni di tonnellate l’anno. Una portata superiore a quella di tutti gli inceneritori italiani che, messi insieme, non arrivano a 4 milioni di tonnellate l’anno! Che significa? Che questo piano decreta per legge l’olocausto della Campania in nome del business dei rifiuti. Mentre rimane senza risposta, infatti, l’inquietante interrogativo : “… in quale discarica campana verranno collocate un milione di tonnellate di ceneri tossiche prodotte ogni anno da tanti inceneritori?”, il piano sembra dimostrare che non c’è alcuna intenzione di ridurre la “portata” dei rifiuti campani: né ricorrendo alla raccolta differenziata, né bloccando quel traffico di rifiuti tossici e nocivi che molte aziende trovano conveniente smaltire illegalmente lontano da casa propria.
Come si vede, infatti, dopo l’inceneritore di Acerra – annunciato come il più grande d’Europa – lo Stato a spese nostre vuole allestire “caminopoli” per eliminare i rifiuti con sistemi accantonati e superati nel resto d’Europa (vedi in merito la documentazione sulla “situazione inceneritori nel mondo”). Così, con il supporto di un’emergenza mediaticamente alimentata e la cui soluzione viene presentata come impossibile, si continuano a sostenere consapevolmente soluzioni sbagliate, inutilmente onerose, destinate ad aggravare il disastro ambientale pur di alimentare il “business-rifiuti”. E il sospetto che si tratti di una precisa strategia sembra avvalorato da almeno due elementi:
– il rifiuto di utilizzare i meno onerosi impianti di compostaggio o le compostiere domestiche – utilizzate da altre amministrazioni in Italia – che abbatterebbero SUBITO l’umido prodotto in regione semplificando tutto il processo di smaltimento;
– il rifiuto di costruire – ammesso che si voglia seguire la scelta degli inceneritori – degli inceneritori più piccoli che servano a bruciare solo i rifiuti prodotti in Campania.
L’olocausto Campania, insomma, è stato decretato: per legge. E pazienza se i napoletani rischiano di fare la fine dei topi descritti dal pentito Vassallo: l’importante è che non si sappia. Forse per questo la richiesta degli abitanti di predisporre un registro tumori sbatte da anni contro un muro di gomma. In mancanza di un registro, dunque, ci sono solo i dati denunciati dall’Organizzazione mondiale della Sanità che rivelano, comunque, una media di morti per tumore superiore del 12% a quella nazionale. Ma purtroppo, come gli ebrei, solo i campani sanno qual è il loro vero destino. E contro questo destino hanno anche perso il diritto di ribellarsi.
La militarizzazione delle discariche e il carcere per i cittadini che protestano, infatti, sinistramente sembra evocare il regolamento dei lager cambogiani voluti da Pol Pot dove durante la tortura – come si legge nel cartello qui di seguito fotografato in uno dei “lager-museo” in piena Phnom Penh – i reclusi dovevano soffrire in silenzio, senza urlare, per non far sentire le loro urla all’esterno:
“Durante le bastonate o l’electrochoc ai detenuti è vietato gridare forte… essi debbono restare seduti tranquillamente, aspettare gli ordini e se non ci sono ordini non debbono fare niente… se i detenuti non eseguiranno tutti gli ordini qui riportati, saranno puniti con colpi di bastone, fili elettrici e electrochocs : e sarà anche vietato contare il numero dei colpi……(sic!)”.